venerdì 31 gennaio 2014

I piccoli passi per diventare un ometto grande




Il postino di Candy Candy quando consegnava le lettere alla Casa di Pony aveva una faccia cupa se portava una brutta notizia (e generalmente le portava in autunno, col vento e la pioggia) oppure scampanellava allegro e sorridente se il contenuto delle missive era una buona nuova tanto attesa (e questo avveniva in primavera, con un bel cielo sereno).

Il mio postino no, ma forse perché non è un signore anziano e panciuto coi baffoni a manubrio. O forse perché non apre le mie lettere e le legge prima di metterle in buca.


Due settimane fa ho dato l'esame per ottenere la certificazione per fotografi. Un esame non esattamente gratuito, in cui bisognava sostenere uno scritto su argomenti di tecnica fotografica e due orali suddivisi in lettura del portfolio e domande di natura legale, commerciale, contrattuale e di posizionamento sul mercato.

Memore degli esami universitari in cui si era mille milioni e c'era il rischio di fare notte aspettando il proprio turno, mi son presentato a Milano in pieno stile fantozziano con

- romanzo di 350 pagine da leggere
- videocorso su ipad di 5 ore
- viveri in stile "mamma calabra che va a fare pic nic coi bambini"
- musica da ascoltare
- macbook con portfolio nel caso l'ipad non funzionasse
- chiavetta usb con medesimo portfolio per elemosinare un pc in caso di tempesta magnetica

Invece eravamo in 12 in tutta Italia a turni di 4 ed in due ore e mezzo ero già fuori.

Quindi mi faccio un pepperepéééé di squillo di trombe da solo perché da oggi sono un fotografo certificato IMQ!! (pepperepéééé!)

Cosa vuol dire? 
Vuol dire che (pepperepééééé!) in Italia si è molto discusso sull'istituzione di un albo per fotografi e io mi son letto pappardelloni che vi risparmio ma che in sostanza vogliono dire: un medico se è iscritto all'albo è obbligato a seguire dei protocolli, perché se tutti fanno di testa propria e poi qualcuno muore non vabbene.
Se un ingegnere costruisce un ponte e fa di testa sue e il ponte crolla, non vabbene.

Il fotografo ascolta un cliente e poi…ehm, è pagato per fare di testa sua. Mal che gli vada fa brutta una sposa nelle foto più importanti della sua vita, le uccide l'ego ma i crimini contro l'ego non sono sanciti dal codice penale (ma dovrebbero). Al massimo le manda il postino di Candy Candy con la faccia cupa (in autunno, mentre piove) a consegnare le foto.

Quindi niente albo per fotografi. 
E dei signori che hanno studiato sui libri grossi hanno deciso che si proponeva, facoltativamente, questa certificazione.

A cosa serve?
A niente. (pepperepééééé, ma in calante)
Però non fate subito quella faccia brutta. Anche la mia laurea in Yamatologia vale niente. E' che proprio  in Italia i pezzi di carta non si sa mai se servono o no.
Invece questo è chiaro, non serve.
(Almeno, non fino ad ora)

E allora perché l'ho fatto?
Per poter mettere il bollino di certificazione sul mio sito e dare il via alla nuova stagione di "Pimp my website". Ahahaha, no dai.

Perché ci credo. Credo che i fotografi possano unirsi in una corporazione (noi artigiani, maniscalchi e guardinfanti del 1400 la pensiamo così) e dimostrare che non siamo solo dei perdigiorno che non han voglia di lavorare e per continuare la loro vita di ozio e dissolutezza fanno i fotografi.

Per i miei clienti. Perché l'esame era serio, in cui bisognava essere preparati su aspetti tecnici, legali, contrattuali, avere un posizionamento sul mercato e avere un portfolio che convincesse gli esaminatori.
Che a pensarci bene non è proprio una sciocchezza: posso presentarmi da un cliente con la consapevolezza che qualcuno mi ha detto che le mie foto piacciono e sono vendibili.
Il mio aspetto bipolare è stato finalmente scisso in "quello che faccio per i clienti" e "come lo giudico io".
Assicuro che due cose di tecnica fotografica, storia della fotografia e utilizzo dei software le conosco.
So dare un valore economico allineato al mercato ai miei lavori.
So che esistono problemi di natura legale e contrattuale e posso aiutare i miei clienti a non impantanarsi in situazioni sgradevoli.

E' un gesto di buona fede verso i clienti. Un "ehi, magari non sono il miglior fotografo di Torino, ma cerco di impegnarmi al massimo".

Quindi l'ho fatto per me, per i miei clienti e per la fotografia. Perché magari un giorno i fotografi capiranno che uniti si cresce, che condividere anche un aspetto corporativo significa fare del bene alla fotografia non solo come arte ma anche come business. Capire che un cliente che sa distinguere l'impegno e la professionalità da un "fa belle foto, ha una reflex, mi fa pagare (in nero) meno dell'altro" è un ottimo cliente e ci permette, come fotografi, di osare, di chiedere e di migliorare.


(pepperepééééé)




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