giovedì 29 agosto 2013

Quando Photoshop diventa buono

Ieri stavo girovagando in rete alla ricerca di notizie sullo tsunami che colpì nel 2011 il Giappone e mi sono imbattuto in un progetto che ha un che di meraviglioso. Quelle cose che se ci pensi bene ti fan capire che il mondo è pieno di gente pazzesca e che mi ha fatto immaginare la generosità umana come un imbuto rovesciato: stretto e poco visibile in superficie ma che si allarga diventando un enorme contenitore di cose belle man mano che si va in profondità.




Oppure sono così tanto di parte quando si parla di fotografia che queste cose mi segnano parecchio.

In pratica nella regione del Tohoku (la principale vittima dello tsunami e del terremoto l'11 marzo 2011) è stato allestito un enorme e articolatissimo (chi è stato in Giappone sa cosa vuol dire "enorme e articolatissimo" nei canoni nipponici... chi non ci è stato pensi a qualcosa di grande, lo triplichi ed alla fine ci aggiunga un tot: ecco, hai adesso avete un'idea della metà di quello che è stato messo in piedi) Memorial Saving Center in cui vengono raccolte, pulite, catalogate ed archiviate le fotografie trovate dopo il cataclisma.

Alcune foto sono state trovate anche a decine di kilometri di distanza, non solo tra le macerie ma anche sulle spiagge o nelle tasche dei cadaveri trascinati dallo tsunami.
Vengono prese, ripulite, messe ad asciugare, infine catalogate in base all'abitazione in cui son state ritrovate, alle testimonianze dei superstiti, o nel mucchio dei "chissà".

Già questo a me fa venire i brividi. Ma il volontariato non è fatto solo in loco. Se si è dei fotoritoccatori o fotografi professionisti si può dare la propria disponibilità per il recupero delle fotografie rovinate.
Ricevi il tiff rovinato, lo restituisci sano.

Occhio che la sto per buttare sul sentimentale.

Una cosa che un fotografo sa, o dovrebbe sapere, è che una foto di una persona che poi muore diventa un tesoro. Ed io mi immagino i parenti delle vittime che attraverso questa iniziativa si riappropriano non solo delle fotografie ma anche della propria storia, dei propri affetti, di uomini e donne che fino al 10 marzo 2011 erano lì, a fianco, nella più assoluta normalità.

E poi no.

E non me ne frega niente di fare filosofia sul fatto che ogni minuto della vita sia prezioso e debba essere impiegato a dare valore a quello che di bello abbiamo. Io non lo faccio, la mia vita è colma di cose superficiali che tolgono tempo a quelle importanti, però è la mia vita anche per quello. Inoltre non sono il tipo che rimpiange, quindi è un discorso che con me attacca poco.

Non vengono recuperati gli arredi, i vestiti e i mezzi di trasporto. Vengono salvate le fotografie e caspita, questo mi responsabilizza ancora di più sul mestiere che sto facendo.

Nel libro (che consiglio) "Lezioni di Fotografia" di Luigi Ghirri si dice che una delle caratteristiche della fotografia (aaaaah, beati anni '80) è la sua matericità, il fatto che sia di carta e come tale deperibile, che gli inchiostri siano fotodeperibili e che quindi abbia intrinseca la dicotomia eterno (della posa e dell'immagine in sé) e transitorio (del materiale).
Il dare nuova vita a qualcosa che non è necessario e di per sé è deperibile acquista un significato di memoria e di speranza.

Io spero davvero di essere riuscito a trasmettere l'importanza di questo gesto. Se non ci fossi riuscito provate a immaginare di aver perso tutto, di entrare in questa enorme tendopoli, trovare una foto di un vostro caro che avete perso e dire "Questo/a era mio/a...."

Un po' mette i brividi, vero?



Ecco un po' di link
- su facebook https://www.facebook.com/photorescuejapan
- su flickr http://www.flickr.com/photos/hodrorg/
- il sito di All Hands Volunteer http://hands.org/2011/08/19/project-tohoku-photo-program/


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